LA VERNACCIA DI ORISTANO VA GIUDICATA CON I SENSI E NON
CON GLI STRUMENTI DEL CHIMICO.
E’ IL SUO AROMA CHE VALE,
E’ LA DELICATEZZA DEL SUO ASSIEME CHE TI CONQUISTA,
E’ QUEL SUO CURIOSO SAPORE DI FRUTTA, DI AMAROGNOLO,
PIENO DI GRAZIA, CHE
NON VI STANCA MAI, ANZI VI SEDUCE.
UNO DEI PIU’ STRANI,
UNO DEI PIU’ PREGEVOLI,
UNO DEI PIU’ DESIDERABILI VINI CHE LA NATURA ABBIA MAI
ELARGITO AGLI ESSERI UMANI”.
La DOC Vernaccia di Oristano, vino culto dell’enologia della Sardegna fino
agli anni ‘80, è da diversi anni in regressione, ma per la sua particolarità e
per l’eccellenza che spesso è in grado di esprimere merita di essere salvata e valorizzata.
Attualmente la superficie vitata del vitigno vernaccia è di circa 400 ha, di
cui solo la metà è iscritta all’albo vigneti della Camera di commercio di
Oristano. E’diffuso in un’area piuttosto circoscritta della Bassa Valle del
Tirso, in provincia di Oristano, allevato tradizionalmente ad alberello,
con una resa media di 33q.li/ha. Il vitigno presenta grappoli piccoli, di forma
cilindrica o cilindrico-conica, con acini
piccoli e tondi, di colore giallo dorato, a buccia sottilissima, molto pruinosa e con succo molto dolce. Il microclima e la particolare composizione geologica delle terre alluvionali della Bassa Valle del fiume Tirso consentono a questo vitigno la sua massima espressione. Numerosi reperti archeologici rinvenuti nell’antica città fenicia di Tharros, situata nella penisola del Sinis, all’interno
dell’attuale areale
di coltivazione, dimostrano le antichissime origini di questo vitigno. La
grande regina Eleonora d’Arborea, nel secolo XIV, per mezzo di apposite norme,
contenute nella Carta de Logu (prima raccolta scritta di leggi della Sardegna),
ne protesse e ne incentivò la coltivazione. L’ipotesi più accreditata sul nome
di questo vitigno è quella della sua derivazione romana, da vernacula (uva del
luogo), in quanto già presente in loco nel periodo romano. Questa ipotesi
etimologica è confermata dalla diffusione del nome vernaccia in tutta Italia,
associato a vitigni locali, completamente dissimili tra loro.
piccoli e tondi, di colore giallo dorato, a buccia sottilissima, molto pruinosa e con succo molto dolce. Il microclima e la particolare composizione geologica delle terre alluvionali della Bassa Valle del fiume Tirso consentono a questo vitigno la sua massima espressione. Numerosi reperti archeologici rinvenuti nell’antica città fenicia di Tharros, situata nella penisola del Sinis, all’interno
Il vino:
Il Vernaccia è il primo vino sardo a cui è stata attribuita la DOC (Decreto
del 11.08.71- G.U. n. 247 del 30.09.71) e il suo disciplinare non ha mai subito
modifiche. La sua particolarità è dovuta soprattutto al suo invecchiamento o
meglio al suo affinamento (come oggi si preferisce definirlo) per mezzo di
lieviti flor, che lo fa collocare nel panorama internazionale al fianco di vini
come lo Jerez e il Montilla -Moriles dell’Andalusia e il Vin Jaune dello Jura.
Dopo una spremitura soffice ed una fermentazione naturale, il vino è trasferito in botti di media capacità, di castagno o di rovere, riempite al 75-80% del loro volume. In queste condizioni (scolmatura e quindi presenza d’ossigeno) sulla superficie del vino si forma un velo costituito da lieviti flor, che sono principalmente Saccaromyces cerevisiae razza fisiologica bayanus e prostoserdovii, Zigosaccharomyces bailii e rouxi. Questi si stratificano sulla superficie del vino formando prima delle isole, che poi confluiscono fino a formare un velo che poi gradualmente ispessisce. Questi lieviti utilizzano per il loro metabolismo alcool etilico e acido acetico formando aldeide acetica precursore dei profumi caratteristici di questo vino.
Dopo una spremitura soffice ed una fermentazione naturale, il vino è trasferito in botti di media capacità, di castagno o di rovere, riempite al 75-80% del loro volume. In queste condizioni (scolmatura e quindi presenza d’ossigeno) sulla superficie del vino si forma un velo costituito da lieviti flor, che sono principalmente Saccaromyces cerevisiae razza fisiologica bayanus e prostoserdovii, Zigosaccharomyces bailii e rouxi. Questi si stratificano sulla superficie del vino formando prima delle isole, che poi confluiscono fino a formare un velo che poi gradualmente ispessisce. Questi lieviti utilizzano per il loro metabolismo alcool etilico e acido acetico formando aldeide acetica precursore dei profumi caratteristici di questo vino.
Raggiunto un determinato spessore, il velo scende in profondità, depositandosi sul fondo della botte, funzionando così da filtro mobile, rendendo il vino limpido e diminuendo l’intensità cromatica.
Nonostante i lieviti utilizzino l’alcool etilico per il loro metabolismo, il grado alcolico aumenta di 0,5-0,8% vol. all’anno, questo arricchimento è dovuto al fatto che la molecola dell’acqua più piccola di quella dell’alcool filtra più facilmente dai pori delle doghe sottili delle classiche botti, di consequenza le annate più
vecchie (oltre 10 anni) hanno gradi alcolici che superano i 20% vol.
Le migliori annate di questo vino acquistano un bouquet complesso e singolare, particolarmente intenso, che in sardo è definito col termine univoco di murruau; al suo interno si possono individuare sentori eterei e di mirrato, di mandorle o nocciole tostate, di scorze d’arancia e di albicocche secche, di miele amaro, di spezie come la cannella e la vaniglia e nelle riserve più datate i profumi di funghi secchi, di muschio e di sottobosco.
Nicola Tamburrino
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