venerdì 31 marzo 2017

I Grandi vini Italiani - Amarone della Valpolicella

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L’Amarone della Valpolicella DOCG è considerato uno dei più pregiati vini rossi veneti, che accoglie l’apprezzamento di esperti e semplici amatori sia in Italia che all’estero. Vino corposo e dal tipico retrogusto amaro, l’Amarone viene prodotto in quantità relativamente limitate, che sono garanzia di un prodotto di qualità ottenuto da uve selezionate e attraverso lavorazioni minuziose ed a livello artigianale. Scopriamo dunque insieme la storia e le caratteristiche di questa vera e propria élite della produzione vitivinicola della Valpolicella.
Zona di produzione dell’Amarone della Valpolicella
L’Amarone è un vino veneto che viene prodotto esclusivamente in provincia di Verona, in diciannove comuni della fascia collinare settentrionale: Dolcè, Verona, San Martino Buon Albergo, Lavagno, Mezzane, Tregnago, Illasi, Colognola ai Colli, Cazzano di Tramigna, Grezzana, Pescantina, Cerro Veronese, San Mauro di Saline e Montecchia di Crosara; in particolare, i vini prodotti nei restanti cinque comuni di Marano, Negrar, Fumane, Sant’Ambrogio e San Pietro in Cariano sono gli unici che possono fregiarsi della specificazione “Classico”, poiché sono quelli di più antica
tradizione. I comuni ricadenti nella zona della Valpantena possono, invece, indicare in etichetta la provenienza geografica del prodotto ponendo, quindi, la denominazione specifica “Valpantena”.Tutte le fasi produttive dell’Amarone devono essere obbligatoriamente condotte all’interno di questa precisa area geografica. Una curiosità: la derivazione del toponimo “Valpolicella” viene ricondotta al latino e, precisamente alla dicitura “vallis polis cellae”, ovvero “valli dalle molte cantine”: questo la dice lunga sulle tradizioni millenarie della produzione vinicola in questa zona italiana.
È proprio da questa grande storia che nascono vini importanti come l’Amarone e il suo antenato, il Recioto. L’Amarone della Valpolicella è, infatti, un vino di produzione decisamente recente, che va fatta risalire ai primi anni del Novecento. Nella zona infatti la produzione vinicola era rappresentata quasi totalmente dal Recioto ma, con il trascorrere del tempo, dai vitigni si ottennero vini più secchi e dal retrogusto leggermente amarognolo: ecco quindi che nacque l’Amarone che oggi conosciamo. Mentre all’inizio la produzione di questo vino era solo condotta per consumo familiare e locale, col tempo cominciò ad essere apprezzato anche a livello extraregionale: il successo venne riconosciuto nel 1968, con l’attestazione della DOC

(Denominazione di Origine Controllata). Nel 2010, infine, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha assegnato a questo vino l’ambito riconoscimento DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita).
Vitigni utilizzati per l’Amarone e invecchiamento
L’Amarone della Valpolicella viene prodotto in proporzioni variabili da diversi tipi di vitigno. Dominante (in una percentuale compresa fra il 40 e il 70%) è il Corvina Veronese, detto anche localmente Cruina o, semplicemente, Corvina; in misura minore troviamo il Rondinella (20-40%) e il Molinara (2-25%). Fino ad un massimo del 15% possono essere anche utilizzate uve Rossignola, Trentina, Sangiovese, Barbera e Negrara in diversa proporzione o in purezza; infine, è consentita anche l’aggiunta di una quota non superiore al 5% proveniente da vitigni autorizzati e riconosciuti nella provincia di Verona.
La resa massima delle uve per ettaro non deve superare gli 84 quintali, mentre la resa in vino non deve eccedere il 70%: questo determina che la produzione annua di Amarone è decisamente limitata rispetto agli altri tipi di vino prodotti nella zona, e questo anche perché la lavorazione delle uve richiede tecniche su piccola scala, quasi artigianali e molto accurate. Queste tecniche richiedono innanzitutto una raccolta effettuata nel giusto periodo di maturazione delle uve (compreso, generalmente, fra la fine di settembre e l’inizio di ottobre). Una volta raccolta, l’uva viene sistemata manualmente su supporti di legno o graticciati di bambù per essere sottoposta alla delicata operazione dell’appassimento.

Questa consuetudine è praticata sin dal IV secolo d.C., come riportato da attendibili fonti storiche, e viene protratta per tre o quattro mesi: al termine di questo periodo, le uve hanno perso la metà del loro peso per via dell’evaporazione dell’acqua e, parallelamente, la concentrazione degli zuccheri si innalza fino a raggiungere circa il 25-30%. Durante l’appassimento le uve hanno subito anche importanti trasformazioni chimiche come, ad esempio, diminuzione dell’acidità, aumento della concentrazione di polifenoli e glicerina, incremento del contenuto in resveratrolo (sostanza riconosciuta come un prezioso alleato contro le malattie cardiovascolari).
Verso i mesi di gennaio e febbraio si procede dunque alla pigiatura delle uve, alla quale segue un periodo di affinamento prima della commercializzazione. Il vino Amarone della Valpolicella ben si presta all’invecchiamento in bottiglia, arrivando anche sino ai 10-20 anni di età; durante questo periodo, nel vino si producono aromaticità e struttura particolarmente stimati dagli intenditori del settore, ma del tutto apprezzabili anche al consumatore meno esperto.
Caratteristiche organolettiche e chimiche dell’Amarone
Il vino si presenta con un colore rosso rubino carico, che col tempo assume riflessi arancio o mattonati. Il profumo è accentuato, speziato e persistente, con sentori di noce, ciliegia e frutti del sottobosco, ma anche di spezie e cioccolato. Il gusto di questo vino è decisamente secco, robusto e pieno, ma al tempo stesso vellutato ed equilibrato. Al palato rimane il classico retrogusto amarognolo che lo contraddistingue. Si tratta quindi di un vino inimitabile,
strutturato e rotondo, che può essere apprezzato sia da giovane, quando vengono esaltati gli aromi fruttati, che invecchiato, nel quale i polifenoli, il sentore di muschio e il goudron (catrame) diventano dominanti.
La gradazione alcolica minima dell’Amarone è di 14 gradi, anche se i vini invecchiati raggiungono facilmente anche i 16°, mentre l’estratto secco netto minimo è stabilito in un tenore del 22 per mille.
Modalità di servizio e abbinamenti dell’Amarone
La temperatura consigliata per servirlo è di 18-20°C. Per un suo consumo ottimale, gli esperti suggeriscono di stappare la bottiglia almeno un paio d’ore prima e, nel caso di un vino particolarmente invecchiato, di farlo decantare in caraffa. Per servirlo sono consigliati bicchieri ampi, in grado di raccogliere e far apprezzare a chi lo degusta gli aromi liberati dal vino.
Un vino corposo e pieno come l’Amarone si adatta in modo superbo ai piatti tipici dei periodi freddi e a base di carne come, ad esempio, brasati, arrosti, stracotti e spezzatini, nonché alla selvaggina ed al pollame. Nella zona della Valpolicella una ricetta tipica è proprio il risotto all’Amarone, ma il vino si abbina molto bene anche ad altri primi piatti locali, come la popolare “pasta e fasoi” (pasta e fagioli), le pappardelle coi fegatini o il risotto col tastasal (una sorta di ragù di carne suina). Vino da tutto pasto, l’Amarone ben si presta ad accompagnare anche salumi e formaggi stagionati come, ad esempio, il Formaggio di Monte prodotto nella zona della Lessinia.
Infine, per accompagnare momenti di relax, non c’è niente di meglio di un Amarone invecchiato: bevuto da solo, infatti, è un eccellente vino da meditazione.


                   Nicola Tamburrino

giovedì 30 marzo 2017

Una fontana dove al posto dell’acqua sgorga vino - Ortona in provincia di Chieti






Succede a Caldari di Ortona, in provincia di Chieti in Abruzzo, dove questo fine settimana verrà inaugurata la fonte con il nettare degli dei.

Solo qualche settimana fa, vi avevo parlato della fontana di birra in Slovenia, adesso invece grazie a un’idea di Dina Cespa e Luigi Narcisi, ci sarà la prima fontana di vino gratuita made in Italy.
Dina e Luigi sono i fondatori del Cammino di San Tommaso, .
un’associazione che organizza percorsi spirituali e turistici. In uno dei lunghi viaggi affrontati, i due si sono imbattuti nella famosa fontana di vino della Bodegas Irache a Estella, Navarro in Spagna, nata per accogliere tutti i pellegrini che percorrono il Cammino di Santiago de Compostela
Da qui, l’idea di replicare in Italia. Il progetto della fontana di vino è sostenuto da Nicola D’Auria, titolare della cantina Dora
Sarchese, e messo in opera dall’architetto Rocco Valentini.
Dalla prossima settimana in poi, quindi, tutti i pellegrini ( e non solo) potranno rifocillarsi con un buon bicchiere di vino.

Zite al "ragù ricco" d'Abruzzo








per 4 pax:... 
400 gr. di zite spezzata, 
200 gr. Carne di agnello, 
200 gr. Carne di vitello trita, 
200 gr. Carne di maiale, 
2 cosce di coniglio, 
800 gr. di pomodori, 
1 carota, 
1 costina di sedano,
1 rametto di rosmarino, prezzemolo, 
1 cipolla, 
4 spicchi di aglio, 
6 foglie di basilico + 4 per il finale (spezzate a mano...). 
Sale q.b., 4 cucchiai di olio extra vergine, 
1 bicchiere di trebbiano d'Abruzzo, 
peperoncino a piacere, 
100 gr. di pecorino d'Abruzzo.
Esecuzione: in un tegame con l’olio, mettere a cuocere le carni a pezzi, con un pò di sale, a fuoco lento, fino a farli rosolare, quindi sfumare con il vino, (quando il vino si è asciugato) ... aggiungere gli aromi e le verdure ben triturate, e farle appassire << il rametto di rosmarino fresco ...lasciarlo intero...insieme all'aglio>>. Coprire la carne con acqua. Quando il sugo si è ristretto... (togliere l'aglio e il rosmarino) e mettere il pomodoro pelato e tagliato a dadini (concassè ), fino a cottura ultimata (le carni devono essere ben cotte e il sugo bello addensato, togliere i pezzi di carne e portarli in tavola come secondo) . Scolare la zite al dente e versare nel tegame , amalgamare bene con il sugo e servire con fogliette di basilico e formaggio, avendo cura di aggiungere un cucchiaio di sugo....su ogni piatto, ...e peperoncino...a piacere.


Nicola Tamburrino

mercoledì 29 marzo 2017

Domaine de la Romanée Conti




La Borgogna costituisce una delle regioni più prestigiose e uno dei terroir più vocati al mondo per la produzione di vino e dà vita ad un intreccio di storia e cultura, dal quale nascono alcune delle massime espressioni nel mondo del vino, per intensità, eleganza, complessità. I suoi vigneti si estendono nella Francia centro orientale, da nord a sud, da Digione sino a Macon e vi si producono vini rossi (Pinot nero e Gamay) e bianchi (Chardonnay e Aligote). Il Domaine de la Romanèe Conti è considerato il più importante produttore di vino rosso della Borgogna e  di tutto il mondo, secondo alcuni critici, commercianti, degustatori e appassionati. L’origine del nome Romanèe incerta, ma sicuramente risale ai forti legami della regione con la dominazione romana. Secondo quanto riferisce E. de Moucheron, nel testo “Grands Crus de Bourgogne, Histoires et traditions vineuse” (1955),  furono le legioni romane a portare la vite in Borgogna; a seguito di ciò, i Galli diedero vita ad una intesa produzione vinicola, che entrò ben presto in competizione con la produzione di vino fatta in Italia. Per arrestare la diffusione della produzione di vino in Francia e limitare la concorrenza con i produttori latini, l’imperatore Domiziano emanò un editto nel 92 d.C. che ordinava l’espianto di metà dei vigneti della Gallia; questa situazione si protrasse per oltre 200 anni e solo nel 281 d.C. l’imperatore Probo revocò il precedente editto. Il popolo della Gallia iniziò allora, con l’aiuto dell’esercito romano, a ripiantare viti, importando talee prevalentemente dall’Italia, Svizzera e  Narbonne. In realtà, appare più verosimile il fatto che fu lo stesso imperatore Probo ad imporre alle colonie la scelta di un vitigno da impiantare, selezionato in quanto particolarmente resistente, tenendo anche tenendo presente che a quel tempo la riproduzione della vite veniva fatta prevalentemente tramite seme. Recenti studi di genetica, tramite analisi del DNA, hanno infatti dimostrato che le viti della Borgogna discendono tutte da un antenato comune, un vitigno che era stato importato da Probo dalla Dalmazia, e che subì successiva ibridazioni, cioè trasferimento di materiale genetico da una specie all’altra attraverso ripetuti incroci. In ogni caso, nel corso dell’opera, i Galli vollero esprimere la propria gratitudine all’imperatore per la ritrovata prosperità, dedicandogli un vigneto che chiamarono Romanèe; l’imperatore, lusingato, coniò una moneta con impressa la sua immagine e sull’altra faccia un grappolo d’uva. Successivamente, il piccolo vigneto di 1,8 ettari diventò proprietà di un convento di monaci cistercensi, che lo acquistarono dai duchi di Borgogna, con il nome di Cros de Clou. Non bisogna dimenticare infatti che le comunità religiose, unendo il messaggio spirituale alla produzione di vino, con la loro opera, svolsero un ruolo decisivo nello sviluppo e valorizzazione della coltivazione della vite e approfondimento delle tecniche vinicole durante tutto il Medioevo. Nel 1241, tuttavia, i monaci del convento di St. Vivant presso Vosne Romanèe, per ragioni economiche, dovettero vendere il vigneto, che passò poi in mano a proprietà privata; i duchi di Croonembourg. Nello stesso periodo i Croonembourg acquistarono gli adiacenti vigneti di La Tâche. Nel ‘700, abbandonarono il nome di Cros de Clou e ribattezzarono definitivamente il vigneto Romanèe, vendendolo nel 1760 al principe di Conti, cugino primo di Luigi XVI. Tale vendita fu duramente contestata a Corte, poiché sembra che anche la potentissima ed influente Madame de Pompadour desiderasse quella vigna, già allora conosciuta come la migliore di Borgogna e  per questo tale vino non divenne il vino ufficiale di Corte. Il nome Conti fu aggiunto però solo successivamente, durante la Rivoluzione Francese: la vigna fu confiscata ma i rivoluzionari vollero unire il  nome del principe Conti al Domaine Romanèe, “commercialmente convinti che l’iniziativa non sarebbe stata cattiva” (E. de Moucheron). Nel 1819 il vigneto Romanée-Conti venne acquistato da Nicolas Defer de la Nouerre, che lo vendette a Julien Ouvrard per 78.000 franchi. Nel 1869 Jacques-Marie Duvault-Blochet lo acquistò insieme ad altre aziende come Echézeaux, Grands Echézeaux e Richebourg. Nel 1891 i 9,43 ettari di Romanée Saint-Vivant furono acquistati da Nicolas-Joseph Marey, genero del geometra Gaspard Monge. Nel 1898, la famiglia Marey-Monge cedette parte della loro azienda alla famiglia Latour, affittando i restanti 5,28 ettari del Domaine de la Romanée-Conti nel 1966 e, infine, vendendoli nel 1988. Questa ultima operazione è stata finanziata dalla vendita e affitto delle proprietà del Domaine a Echézeaux e a Grands Echézeaux. Oggi il Domaine Romanèe Conti appartiene ad Aubert de Villaine, direttore di Romanèe Conti, il quale afferma che la filosofia del Domaine è sempre stata all’insegna del “rispetto ed umiltà”:
Vigneti
I vigneti sono raggruppati attorno al villaggio di Vosne-Romanée su terreni ben drenati, disposti ad est e sud-est. Il suolo è ricco di ferro e calcare su una base di roccia e marna, i vitigni si trovano a 240 metri sopra il livello del mare. L'età media delle viti è molto alta - circa 44 anni - e i vigneti sono coltivati con metodi biologici. Per coltivare i vigneti di Romanée-Conti e Le Montrachet sono stati reintrodotti i cavalli, al fine di evitare la compattazione del terreno con l'uso dei trattori. Le rese sono molto basse, con una media di 25 hl / ha (il rendimento di un Grand Cru è di solito 35 hl / ha). In altre parole, occorrono tre viti per produrre una bottiglia di Domaine de la Romanée-Conti. Le rese sono ridotte attraverso la potatura agli inizi della stagione, e la potatura verde nei mesi di luglio e agosto. Viene effettuata una pulizia anche immediatamente prima del raccolto per eliminare i grappoli al di sotto degli standard. Al momento del raccolto, i grappoli vengono ordinati in piccoli cesti per essere esaminati singolarmente.
Romanée-Conti
Vitigno: Pinot Nero

Vigneto: 1,8 ettari (monopole)
Età media delle viti: 53 anni
Produzione media: 450 casse
Nel corso degli anni il Pinot ha mutato in 50-60 diverse varianti all'interno di questo vigneto.

La Tâche
Vitigno: Pinot Nero
Vigneto: 6,06 ettari
monopole Età media delle viti: 47 anni
Produzione media: 1.870 casse

Richebourg
Vitigno: Pinot Nero
Vigneto: 3,51 ettari


Età media delle viti: 42 anni
Produzione media: 1.000 casse

Romanée-St-Vivant
Vitigno: Pinot Nero
Vigneto: 5,28 ettari
Età media delle viti: 34 anni
Produzione media: 1.500 casse

Grand Echézeaux
Vitigno: Pinot Nero
Vigneto: 3,52 ettari
Età media delle viti: 52 anni
Produzione media: 1.150 casse

Echézeaux
Vitigno: Pinot Nero
Vigneto: 4,67 ettari
Età media delle viti: 32 anni
Produzione media: 1.340 casse

Montrachet
Vitigno: Chardonnay
Azienda vigneto: 0,67 ettari
Età media delle viti: 62 anni
Produzione media: 250 casse

Viticoltura e vinificazione
I vigneti della tenuta sono gestiti attraverso i principi dell'agricoltura biologica. I trattori di recente sono stati sostituiti da cavalli per ridurre la compattazione del suolo. Le rese sono molto basse, a circa 25hl/ettaro, e le uve vengono raccolte più tardi rispetto alla maggior parte dei vigneti in Borgogna. In cantina gli interventi vengono ridotti al minimo indispensabile per permettere una vinificazione del tutto naturale. La fermentazione si svolge a temperature relativamente basse. La tenuta ha la sua fornitura privata di rovere dalle foreste di Troncais. La maturazione dipende dalla qualità della vendemmia e viene effettuata in botti al 100% nuove. Le barriques devono essere nuove per esaltare le qualità del frutto e per eliminare qualsiasi possibilità di contaminazione che potrebbe derivare da vecchie botti. Non vi è alcuna filtrazione, ma viene utilizzata la tecnica di chiarificazione con l'uovo. I vini passano dai sedici ai venti mesi in legno prima dell'imbottigliamento.

I Grandi vini Italiani - Cannonau di Sardegna

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Dalla dura e potente terra di Sardegna arriva sulle tavole di tutto il mondo il Cannonau, un vino rosso – o rosato – dalla spiccata
Vitigno cannonau
aromaticità e la cui origine si perde nella notte dei tempi, tanto da essere considerato il più antico del bacino del Mediterraneo.
Apprezzato anche al di fuori del territorio isolano come il miglior vino di produzione sarda, il Cannonau è spiccatamente profumato ed assai aromatico, tanto che questo ne fa una delle sue peculiarità pià citate. Vediamo dunque le caratteristiche di questo famoso nettare d’uva, che racchiude in sé, pienamente, le fragranze, la forza primordiale e l’intensità della terra sarda.
Cannonau di Sardegna: zona di produzione e origine
Prodotto in Sardegna, il Cannonau è conosciuto anche coi termini Cannonao, Cannonadu, Canonau o Canonao a seconda della zona dell’isola. Questo vino è presente su tutto il territorio sardo, e presenta tre sottodenominazioni geografiche precise: Capo Ferrato, Jerzu e Nepente di Oliena (o, semplicemente, Oliena). La maggior parte della produzione avviene nelle zone dell’entroterra sardo, distanti dalle coste. Dal 1992 tutte e tre le sottocategorie di Cannonau si fregiano dell’appellativo DOC (Denominazione di
Origine Controllata).
Esistono diverse tipologie di questo vino sardo: Rosso, Rosato, Riserva, Liquoroso Secco e Liquoroso Dolce. In particolare, le versioni liquorose del Cannonau di Sardegna si ottengono mediante l’aggiunta al vino di alcool di origine viticola o di mosto, in modo tale da aumentarne la gradazione alcolica.
La fama del Cannonau ha ormai oltrepassato da secoli i confini dell’isola, ed è stata resa immortale nientemeno che dal poeta e vate Gabriele d’Annunzio che, riferendosi ad un momento conviviale nel quale il vino scorreva senza parsimonia, così scrisse: “a te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito… Possa tu senza tregua fluire dal quarterolo alla coppa e dalla coppa al gorgozzule. Possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odore tuo, e del tuo colore avere il mio naso sempre vermiglio…”.
Vitigni utilizzati e invecchiamento del Cannonau
Il Cannonau viene prodotto in purezza (100%) o con almeno il 90% di uve dell’omonimo vitigno, mentre il restante 10% può essere rappresentato da altri vitigni a bacca nera raccomandati o autorizzati nella Regione Sardegna. Il Cannonau è senza dubbio la varietà a bacca nera maggiormente coltivata nell’isola: si calcola che, infatti, rappresenti circa il 30% della superficie vitata complessiva. Una curiosità: fino a poco tempo fa si pensava che questo vitigno fosse di origini iberiche (e, precisamente, che fosse stato importato sull’isola nel XV secolo), ma il ritrovamento di resti di vinaccioli risalenti a più di tremila anni fa nella valle del fiume Tirso dimostrarono l’endemicità del vitigno. Questa importante scoperta fa sì che il Cannonau sia riconosciuto come il vino più antico dell’intero bacino del Mediterraneo!
La resa massima in uva per ettaro è di 110 quintali mentre, per quanto riguarda la vinificazione, la resa in vino dell’uva non deve superare il 70%.


Per potersi fregiare del titolo “Riserva” il Cannonau deve riposare almeno due anni, dei quali per un minimo di sei mesi deve invecchiare in botti di castagno o rovere. Il Cannonau è, complessivamente, un vino che ben si presta ad essere invecchiato e che, col tempo, è in grado di assumere sapori e profumi eccellenti.
Caratteristiche organolettiche e chimiche del Cannonau
Il Cannonau ha un bel colore rosso rubino che, con l’invecchiamento, manifesta via via riflessi color granato o arancione sempre più intensi. Il profumo è fresco, speziato, maturo e con sentori fruttati (soprattutto di frutti del sottobosco e di prugne); si possono anche percepire sentori eterei tendenti al resinato, oppure sfumature floreali che richiamano principalmente alla rosa passita. Il sapore è ricco, caldo, morbido e pieno; lascia inoltre un piacevole retrogusto leggermente amarognolo e tannico.
Il titolo alcolometrico minimo del Cannonau di Sardegna varia a seconda della tipologia del vino: 12.5% per il Rosato e per il Rosso, 13% per il Riserva, 16% per il Liquoroso Dolce e 18% per il Liquoroso Secco. Mentre il Secco non deve contenere zuccheri residui superiori a 10 grammi/litro, la versione Dolce ne può contenere fino a 50 grammi/litro.
Modalità di servizio e abbinamenti del Cannonau
Il Cannonau si apprezza al meglio a temperature comprese fra 16 e 18°C. Fra gli accostamenti gastronomici più riusciti senza dubbio sono da citare quelli legati ai piatti tipici della cucina sarda, come gli arrosti di maialino, capretto o agnello. Si adatta bene ad
accompagnare anche brasati e selvaggina e, in genere, tutte le carni rosse ben cucinate. Molto apprezzato è anche il binomio Cannonau – formaggi, specie quelli saporiti e stagionati come, ad esempio, il classico pecorino sardo. Infine, il Cannonau di Sardegna nella sua versione Liquoroso Dolce si presta in modo eccellente ad accompagnare dessert, pasticceria secca e macedonie di frutta.

Nicola Tamburrino

10 Domande per Sommelier 07/02/2020

Inizia il test 07/02/2020