giovedì 5 ottobre 2017

Emilia Romagna: Enografia e Gastronomia


Albana di Romagna (1) - Colli Bolognesi classico Pignoletto (4)

La placida regione che si estende lungo la pianura padana, è conosciuta per la sua ricca cucina, ma anche per i suoi vini bianchi, rossi, dolci e frizzanti.
Si parla dell'Emilia-Romagna e subito si pensa alla sua ricca e
opulenta cucina, gustosa, saporita, esuberante, cordiale e ospitale, proprio come la gente che vive in questa regione. Non è solo la ricca e variegata cucina di questa regione a contraddistinguere l'Emilia-Romagna, ma anche arte, cultura e storia, oltre alla famosa cordialità e ospitalità dei suoi abitanti. In questo contesto così ricco e complesso, anche il vino trova un suo ruolo ben preciso, qui come altrove in Italia, la bevanda di Bacco svolge un ruolo fondamentale nella cultura della regione. La regione è divisa in due aree geografiche e culturali distinte: l'Emilia, nella parte occidentale, e la Romagna, nella parte orientale. Le due aree si distinguono non solo per la diversa cucina
- sempre ricca e gustosissima in entrambe le aree - ma anche per il modo di produrre vino, e quindi anche per le uve che si coltivano. L'Emilia è la patria indiscussa dei tanti “Lambruschi”, vini rossi effervescenti - o come sono definiti da queste parti, bruschi e vivi - che andrebbero meglio valorizzati e rivalutati. Nella Romagna il vino diviene prevalentemente secco e si produce con le uve Sangiovese, Albana, Pignoletto e altre varietà.
 La storia della vite e del vino in Emilia-Romagna ha radici che si perdono negli albori della civiltà e tutto ha inizio, presumibilmente,
con l'uva più celebre dell'Emilia - la parte occidentale della regione - e dalla quale si produce uno dei vini italiani più famosi nel mondo: il Lambrusco. Quest'uva selvatica era nota già ai tempi di Virgilio, e anche Plinio il Vecchio la cita nella sua Naturalis Historia. È proprio Virgilio a raccontare - nella sua Quinta Bucolica - che si conosceva dell'esistenza della Vitis Labrusca già da duemila anni. Plinio il Vecchio riconosce a quest'uva proprietà mediche e ne descrive, per la prima volta, le caratteristiche. Anche alcune scoperte archeologiche confermerebbero la lunga storia della Vitis Labrusca, grazie al ritrovamento di semi e radici fossilizzate di questa specie, databili fra il XX e il X secolo a.C. Il Lambrusco si
può pertanto definire, a pieno titolo, il progenitore della viticoltura dell'Emilia-Romagna.
 Nonostante queste importanti scoperte archeologiche, non ci sono tuttavia notizie certe relativamente all'uso della Vitis Labrusca a quei tempi per la produzione di vino. Le prime notizie attendibili sulla coltivazione della vite e la produzione del vino in Emilia-Romagna risalgono al VII secolo a.C., all'epoca della civiltà villanoviana di Verrucchio, nei pressi di Rimini. Le scoperte archeologiche svolte in queste zone hanno infatti consentito di stabilire con certezza che a quei tempi gli abitanti di quelle terre si dedicavano alla viticoltura. Altre importanti testimonianze sulla
viticoltura e sulla produzione di vino in Emilia-Romagna sono inoltre riconducibili all'epoca del dominio etrusco. Un'altra importante testimonianza è offerta da Varrone nel suo De Re Rustica, dove si racconta che nella valle del Po, in seguito ad opere di bonifica, si coltivavano Albana, Trebbiano, Cagnina e Spergola, varietà che producevano uva in abbondanza. Durante il dominio dei Galli, la viticoltura non si svilupperà significativamente e si dovrà attendere l'arrivo degli antichi Romani per dare inizio a un importante sviluppo della coltivazione della vite e della produzione di vino.  La viticoltura conosce un nuovo sviluppo a partire dal V secolo d.C. e risale a quest'epoca l'introduzione dalla Dalmazia della varietà Refosco Terrano, conosciuto in Emilia-Romagna con il
nome di Cagnina. A seguito delle invasioni longobarde, qui avvenute nel 568 d.C., la vitivinicoltura conosce un periodo di recessione e sarà solo grazie all'opera dei diversi ordini religiosi, qui come altrove in Europa, che la coltivazione della vite e la produzione di vino sarà preservata da ulteriori recessioni. Un significativo contributo alla vitivinicoltura di questa regione sarà svolto dall'ordine dei monaci benedettini, soprattutto nei pressi di Ferrara, dalla quale attività, più tardi, prenderà origine la viticoltura di Bosco Eliceo. Interessanti sono i documenti scritti in epoche successive, nei quali si fa riferimento alle varietà presenti nel territorio dell'Emilia-Romagna,
in particolare ai Lambruschi. A partire dal XVII secolo, sono numerosi i documenti che descrivono le diverse varietà di Lambrusco, che a quei tempi da vite selvatica è oramai divenuta una varietà addomesticata, ampiamente utilizzate per la produzione di vini bruschi e frizzanti.
 Si giungerà così al 1800 quando, qui come altrove, l'arrivo della fillossera segnerà un arresto della viticoltura. In questo contesto, è singolare il caso che si verificò nel delta del Po, nei pressi dell'odierno territorio della DOC Bosco Eliceo, dove i vigneti di uva Fortana furono risparmiati da questo parassita e, ancora oggi, sono innestate su piede franco e non su varietà di origine americana. Con la fine della mezzadria, nel 1900, si costituiranno in Emilia-Romagna, come in altre regioni d'Italia, piccole proprietà
di privati e diverse cooperative di produttori, segnando l'inizio di una produzione caratterizzata dalla quantità e che vedrà protagonista, in particolare, i vini prodotti con le diverse varietà di uve Lambrusco. Questo lungo periodo di produzioni basate esclusivamente sulla quantità, segnerà anche il destino del Lambrusco. Se è vero che l'enorme produzione di questo vino ha consentito al Lambrusco di essere conosciuto ovunque nel mondo, e in particolare negli Stati Uniti d'America, la discutibile qualità di queste produzioni ha generato la convinzione diffusa che con quest'uva si producono solamente vini ordinari. Questo pregiudizio è evidentemente smentito dai vari esempi di produzioni di qualità e che riguardano il Lambrusco.
 Mentre le cantine dell'Emilia-Romagna erano intente alla produzione di grandi quantità di vino, negli anni 1960 alcuni produttori cominciarono a intraprendere il cammino della qualità, una decisione, forse, troppo anticipata rispetto ai tempi. Nel 1962, con lo scopo di tutelare l'immagine del vino della Romagna, si costituisce a Faenza il “Consorzio Vini Tipici Romagnoli” che diventerà più tardi “Ente Tutela Vini di Romagna”, contraddistinto dall'inconfondibile marchio del “Passatore”, Stefano Pelloni, il celebre brigante romagnolo vissuto nel 1800. Nel 1970 viene fondata un'altra importante istituzione, l'Enoteca Regionale Emilia-Romagna, che ancora oggi, per legge, ha il compito di promuovere i vini di questa regione. Il cammino della qualità dei vini dell'Emilia-Romagna seguirà negli ultimi anni due strade praticamente parallele, nelle quali si cercherà di rivalutare sia le varietà autoctone della regione, sia introducendo in maniera piuttosto massiccia i vitigni cosiddetti “internazionali”, spesso
utilizzati insieme alle varietà locali.
I vini dell'Emilia-Romagna sono classificati in accordo al sistema di qualità in vigore in Italia, dove, al livello più basso del sistema, si trovano i Vini da Tavola, seguiti dai vini a Indicazione Geografica Tipica (IGT), Denominazione d'Origine Controllata (DOC) e Denominazione d'Origine Controllata e Garantita (DOCG). Attualmente in Emilia-Romagna sono definite 18 aree a Denominazione d'Origine Controllata e due a Denominazione d'Origine Controllata e garantita riconosciuta all'Albana di Romagna, primo vino bianco italiano a raggiungere questo traguardo e Pignoletto classico colli bolognesi. Le 18 aree DOC dell'Emilia-Romagna sono: Bosco Eliceo, Colli Bolognesi, Colli di Imola, Colli di Faenza, Colli di Parma, Colli di Rimini, Colli di Scandiano e di Canossa, Colli Piacentini, Colli Romagna Centrale, Gatturnio, Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Salamino di Santa Croce,Modena, Ortrugo, Romagna, Reggiano, Reno.
 In Emilia-Romagna la produzione di vino riguarda l'intero territorio regionale, dai confini occidentali fino all'estremità orientale della costa del mare Adriatico. Nonostante l'enologia regionale sia orientata alla produzione di vini da uve autoctone, qui la presenza di varietà “internazionali” è piuttosto rilevante, utilizzate sia in purezza, sia miscelate con le varietà locali. L'enologia dell'Emilia - la parte occidentale della regione - è tradizionalmente legata alla produzione di vini frizzanti, prevalentemente dalle diverse varietà di Lambrusco. Nella parte orientale della regione - la Romagna - la produzione è prevalentemente dedita ai vini secchi e dolci, sia bianchi, principalmente con le uve Albana, Pignoletto, Trebbiano Romagnolo e Pagadebit (Bombino Bianco), sia rossi, principalmente da uve Sangiovese. Fra le varietà “internazionali” più diffuse in Emilia-Romagna si ricordano: Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon e Merlot.
L'Albana di Romagna è stato il primo vino bianco italiano a ricevere il riconoscimento della Denominazione d'Origine Controllata e Garantita (DOCG), riservato solamente agli stili secco, amabile, dolce e passito. Il più alto riconoscimento a questo vino ha da sempre suscitato pareri discordanti, poiché molti sono stati i detrattori di questa denominazione, per molti non degna di appartenere al livello più alto della qualità enologica italiana. Uno dei punti più discutibili del disciplinare di produzione dell'Albana di Romagna, è rappresentato dal limite massimo di resa per ettaro, attualmente fissato a 140 quintali, un valore che contrasta chiaramente con i criteri di qualità enologica e che invece la categoria DOCG dovrebbe assicurare per legge. Con un limite così alto, in effetti, la qualità ne risente in modo evidente, e i migliori vini prodotti con questa uva sono quelli ottenuti con rese piuttosto basse, una scelta adottata solamente dai migliori produttori. Di particolare interesse è la versione passito, probabilmente i migliori vini dell'intera denominazione.
Il Lambrusco fra le uve che principalmente contraddistinguono la produzione dell'Emilia, troviamo la grande famiglia dei “lambruschi”. I principali rappresentanti di questa famiglia sono il Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa e Lambrusco Salamino, ai quali si aggiungono Lambrusco Marani, Lambrusco Maestri, Lambrusco Montericco e Lambrusco Viadanese, quest'ultimo tipico della provincia di Mantova, in Lombardia. Il Lambrusco comincia a vedersi nei vigneti a partire dalla provincia di Parma e diventa il protagonista quasi assoluto in quelli di Reggio Emilia e di Modena, aree nelle quali il Lambrusco ha stretto profondi legami con le tradizioni di questi luoghi e, non da ultimo, con la gustosa cucina. Il vino che si produce con il Lambrusco è “secco” o “amabile”, tuttavia frizzante, la quale effervescenza è generalmente ottenuta attraverso la fermentazione naturale. Nonostante il Lambrusco sia associato all'immagine di vino “ordinario”, sono molti i produttori che, grazie a criteri di qualità, riescono a produrre vini di notevole interesse e che andrebbero certamente rivalutati. Il Lambrusco si esprime ottimamente nelle aree collinari nei pressi del borgo medievale di Castelvetro - in provincia di Modena - dove si produce il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro DOC.
Sangiovese di Romagna vino rosso in Romagna significa Sangiovese. Molti ritengono che la terra d'origine di quest'uva sia appunto la Romagna. Com'è noto, il Sangiovese prende il suo nome da “Sangue di Giove”, e sono in molti a ritenere che questa definizione derivi dal monte Giove, nei pressi di Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, dove l'uva era chiaramente coltivata. I risultati che si ottengono con il Sangiovese nella terra di Romagna sono estremamente interessanti, pur tuttavia presentando una diversità organolettica piuttosto varia, da vini leggeri fino a vini di buona struttura, dal gusto secco e deciso. Il Sangiovese di Romagna è stato il primo vino rosso della regione ad ottenere la Denominazione d'Origine Controllata (DOC) e si produce in un territorio piuttosto vasto, dalla provincia di Bologna fino alla costa orientale del mare Adriatico. Il Sangiovese di Romagna prodotto nelle migliori colline della denominazione con un volume alcolico non inferiore al 12%, può utilizzare l'indicazione “superiore”, mentre se sottoposto a un periodo di maturazione non inferiore ai due anni, può utilizzare in etichetta l'indicazione “riserva”.
Pignoletto classico dei colli bolognesi ha ottenuto la Docg nel 2010. Il Pignoletto è il nome del vitigno autoctono da cui si ottiene questo vino unico, delizioso ed esclusivo: è giustamente considerato il "Re dei Colli Bolognesi". Di questo vitigno particolarissimo non esistono precise e certe documentazioni scritte, ma riferimenti sapienti e fondati, tantissimi!! Plinio il Vecchio nella sua "Naturalis Historia", scritta nel I secolo d.C., afferma di un vino chiamato "Pino Lieto" che "non è abbastanza dolce per essere buono", e quindi non apprezzato, poiché è noto che gli antichi romani amavano il vino dolcissimo: da tali affermazioni si può dedurre che nell'antichità il Pignoletto era già conosciuto. Il vino, ha un bel colore giallo paglierino scarico con riflessi verdolini e profumo delicato, fruttato, intenso dei fiori di biancospino, dal sapore secco, armonico, asciutto ed abbastanza persistente; inoltre è fresco di acidità. Viene prodotto in varie "vesti": fermo, con caratteristiche e tipicità inalterate; frizzante a fermentazione naturale; superiore con gradazione alcolica naturale delle uve del 12% vol. produzione delle medesime,
Altre aree di produzione fra le altre zone di produzione vinicola dell'Emilia-Romagna, una delle più interessanti è certamente quella dei Colli Piacentini, nella zona dove fu ritrovato il gutturnium. Si tratta di un boccale d'argento che ha dato il nome al più celebre vino di questa zona, il Gutturnio, prodotto con uve Barbera e Croatina, qui detta Bonarda. Fra i vini interessanti dei Colli Piacentini si ricorda il Vin Santo di Vigoleno, prodotto in quantità limitate da uve bianche aromatiche e non aromatiche. Fra le altre zone, si ricorda quella del Reggiano, e in particolare la denominazione Colli di Scandiano e Canossa, dove - oltre a vini da uve Lambrusco - si producono interessanti vini anche da uve “internazionali”. Procedendo verso est, un'altra denominazione interessante è quella dei Colli Bolognesi, nella quale si producono vini con uve autoctone, fra queste il Pignoletto, e vini da uve “internazionali”, in quest'area piuttosto diffuse. Di particolare interesse è la produzione di vini IGT, nei quali spesso le uve autoctone incontrano i vitigni internazionali, molto spesso utilizzati anche in purezza.

La Gastronomia dell'Emilia Romagna


L'Emilia Romagna è terra di buongustai e nessun'altra regione può annoverare, con buona probabilità, così tanti piatti tipici e locali nel novero delle pietanze assurte al rango di piatto nazionale, rappresentante la tradizione culinaria italiana all'estero. E non è un caso che qui sia nato Pellegrino Artusi, autore del celebre "La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene" che, come dice appunto il titolo positivista, si pregia di gettare le basi per una gastronomia nazionale scientifica. L'Emilia Romagna è il regno delle paste all'uovo ed imbottite: lasagne, tortelli, tortellini e cappelletti sono nati qui! I tortellini sono di solito imbottiti di lombo e prosciutto di maiale, parmigiano, noce moscata e mortadella, mentre i cappelletti sono farciti con manzo, cacio, ricotta e parmigiano. Simpatiche variazioni sul tema sono il timballo di tortellini, con sugo, uova, funghi e melenzane, i tortellini nella lastra, una preparazione
tortello nella lastra
forlivese con imbottitura a base di zucca, patate e, talvolta, spinaci, i
cappellacci ferraresi alla zucca, gli anolini, ovvero dei cappelleti originariamente con carne di asino, i tortelli con le erbette, di solito spinaci e bieta, i tortelli di patate, i ravioli all'ortica e gli orecchioni con ricotta e prezzemolo. Queste paste imbottite vengono condite in modo diverso e differente a seconda dell'imbottitura o della vocazione regionale: i modi più
cappellacci
celebrati sono col brodo, per i tortellini, o in bianco col burro fuso e il parmigiano, per ravioli e crespelle. E' comunque invalso l'uso di servire i tortellini anche con la panna o la pancetta o col rinomato ragù bolognese: questa salsa, simbolo dell'Emilia Romagna gastronomica, è sicuramente la salsa di pomodoro più famosa della cucina italiana, insieme al ragù napoletano; si tratta di una complessa preparazione a base di trita di polpa di maiale, vitello e
boba di riso
manzo, soffritta nel burro con la pancetta, poi sfumata nel brodo nel vino, con l'aggiunta finale del pomodoro del parmigiano. Il ragù è l'abbinamento tradizionale di lasagne e tagliatelle, altre celebrate invenzioni emiliano romagnole. Occhio alla lasagna verde di Bologna e alla lasagna ferrarese, con l'aggiunta di prosciutto e manzo. La tagliatella, invece, si abbina spesso anche col sugo di castrato, col tartufo o con la salsa alle noci, alla maniera piacentina. Tipo di tagliatella bolognese più corta è la gramigna, preparata di solito con un sugo a base di salsiccia. Da non perdere i
pisarei e faso
pisarei e faso, gnocchetti con i fagioli, e le celebri minestre: i passatelli, la pasta rasa, i manfrigoli e la tardura. Trimalcioniane e barocche composizioni sono il pasticcio alla ferrarese, pantagruelica torta imbottita di pasta, ragù, besciamella e tartufo, la bomba di riso a base di piccioni in umido e rigaglie di pollo e i garganelli, incredibile minestra con piccioni, gnocchi di zucca e tortelli alle erbe. L'architettura gastronomica dei secondi rispecchia la stessa grammatica opulenta e gaudente dei primi. Celebre e gustoso è il
cotechino, un must è lo zampone con umido di lenticchie, ma da provare anche la versione in galera, un'elaborata preparazione che prevede di imbottire col salume una polpetta gigante di manzo e prosciutto. Pantagruelica ed aromatica è la salama da sugo, mosaico
Picaja
ferrarese di coppa di collo, pancetta, lardo di gola, fegato, testa e lingua suine bagnato col sangiovese, marsala e brandy ed aromatizzato con chiodi di garofano e cannella: la salama viene bollita e servita con purè di patate. Deliziose e delicate sono lo stufato di manzo al latte, la pasticciata, a base di manzo brasato nel vino con le verdure, lo stracotto, altro grande brasato con vino e brodo, le costolette alla modenese, con lardo, pomodorino, uovo e vino bianco e la
cotoletta alla bolognese, fatte
Asino in umido
con uovo, prosciutto e parmigiano; gettonatisimo il coniglio, preparato alla cacciatora romagnola cioè lardellato e stufato nel vino, o porchettato alla romagnola, con cuore di lardo e finocchio. Succulenta leccornia suina è il maiale rifreddo, erborinato, con maionese e radicchio rosso. Strepitose leccornie sono l'agnello facito e la valigia di manzo, farcite delizie reggiane. Da provare la picaja, ovvero vitello imbottito di pancetta, il fegato d'agnello all'aceto balsamico e le
barzigole. Particolarmente amata la carne bianca: pollo, tacchino e faraona vengono preparati alla bolognese,
barzigole di carne di pecora
con erbe, vino e rossi d'uova, alla cacciatora romagnola, lardellati e cotti con pancetta e pomodoro; occhio al polpettone di tacchino, con testina di vitello ed insaccato nella pelle del volatile. Prelibate la gelatina di pollo e la faraona con melograno e aceto balsamico. Fra le carni sono assolutamente da provare: la vecia, peperonata con carne equina; la picula 'd caval, a base di trita equina in umido; l'asinello in umido, l'anatra in salsa di miele all'agro; il petto d'anatra alle mele; il cinghiale in umido; la scaloppa di fegato grasso d'oca al marsala; le lumache in crosta di
Picula 'd caval
lardo; la sella di coniglio in crosta; la lepre sfilata, preparata con cipolla, basilico e rosolata nel brodo; le rinomate trippe romagnole, e più precisamente nelle versioni bolognese, reggiana e piacentina. Il Delta del Po è il regno dell'anguilla. Innumerevoli sono le maniere di prepararle: non perdete l'anguilla alla comacchiese, l'anguilla in umido con uvetta e pinoli e le anguille marinate. Molto amate nel ravennate sono le rane,
Trippa romagnola
mangiate in zuppa o fritte e le canocchie farcite. Notevole la scelta di farinacei. Conosciutissima è la piadina, farcita con salumi e con lo
squacquerone (cremoso formaggio vaccino) e bagnata da olio di Brisghella. Molto pregiato è il pane di Ferrara, la coppietta. Da provare il borlengo farcito di lardo e rosmarino, lo gnocco fritto (specialità modenese e reggiana), le tigelle e il bracciatello.L'Emilia Romagna vanta uno strepitoso catalogo di materie prime e prodotti tipici certificati: da non perdere la coppa piacentina, la coppa di Parma, la mortadella di Bologna, il prosciutto di Parma DOP, da maiali selezionati Large White, Duroc e Landrance, il prosciutto di Modena, il culatello di Zibello (a base di coscia di
Gnocco modenese
maiale)
, lo strolghino (salamino da spalmare), il salame di Felino, la spalla di San Secondo, il cappello da prete (stinco dissossato e salato), la mariola (salsiccia fatta con tutte le parti del maiale, anche consumata cruda). Re dei formaggi è il celeberrimo parmigiano-reggiano.Altri formagi da menzionare sono: grana padano dop, formaggio di fossa dop, Furmaièn, Casatella romagnola, Caprino Montemauro, Caciotte caprine piacentine, Caciotta di Monte Mauro, Caciotta del Monte Lazzarina. Da provare il savor o
spongata
mostarda di carpi, originale squisitezza a base di saba, mosto d'uva cotto con aggiunta di cotogne, mele e scorzette d'arance, è l'ideale per i bolliti. Marinate con il pregiatissimo
aceto balsamico di Modena. Da provare il tartufo nero di Fragno, quello bianco di Panfilia e il porcino di Borgotaro. Fra i dolci il re è il panpetato a base di miele, mandorle, cacao, cannella chiodi di garafano e

canditi; da provare lo squacquerone con fichi caramellati, le burriche, i buslanei, i sabadoni, il certosino, la spongata e le frappe.


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