domenica 28 gennaio 2018

I Grandi vini Italiani - Passito di Pantelleria


 “L’oro giallo di Pantelleria”: ecco come viene definito il vino prodotto in questa splendida isola mediterranea, e che racchiude in sé i profumi di questa terra magica. Dolce e aromatico, profumato e intenso, il Passito di Pantelleria è un’eccellenza dei vini prodotti nell’isola, e rappresenta una vera e propria elite nel panorama dei passiti italiani.
Scopriamo insieme le caratteristiche di questo vino che tutto il mondo ci invidia.
Zona di produzione del Passito di Pantelleria
La storia della produzione del Passito a Pantelleria ha più di
uve passite di Pantelleria
duemila anni. Già nel 200 a.C. Magone, generale cartaginese, così descriveva come si svolgeva la produzione dell’antenato dell’odierno Passito di Pantelleria: “Si raccoglievano i grappoli maturi, avendo cura di eliminare quelli ammuffiti o guasti, poi si esponevano al sole su una canna, curando di proteggerla dalla rugiada, coprendoli durante le ore della notte. Quando i grappoli erano diventati secchi si staccavano gli acini in una giara ricoprendoli di mosto. Dopo sei giorni si spremevano e si raccoglieva il liquido. Ultimata questa operazione, si pigiava la vinaccia aggiungendovi del fresco fatto con altra uva tenuta al sole per tre giorni. Infine sigillava il vino in vasi di creta, da aprirsi dopo una fermentazione di venti, trenta giorni…”. E, da allora, non è cambiato molto; il riconoscimento della DOC (Denominazione di Origine Controllata) avvenne nel 1971. Il Passito di Pantelleria è,

come si desume dal nome, un prodotto esclusivo dell’omonima isola, che amministrativamente ricade nella provincia siciliana di Trapani. Non solo le uve devono essere prodotte a Pantelleria, ma sull’isola devono anche essere svolte tutte le operazioni di vinificazione, compreso l’appassimento delle uve. Infine, anche l’imbottigliamento deve avvenire all’interno della zona di vinificazione.
Vitigni utilizzati per il Passito di Pantelleria
Per la produzione del Passito di Pantelleria si utilizzano esclusivamente uve della varietà Zibibbo, conosciuta anche con i nomi di Moscatellone, Salamanna, Moscato d’Alessandria o, localmente, Moscato di Pantelleria. La vendemmia si svolge solitamente nel mese di settembre, ma può anche cominciare nelle prime settimane di agosto, e viene generalmente effettuata a mano. A causa dell’estrema aridità del territorio, la produzione di uve è particolarmente scarsa: si parla infatti di un massimo, in genere, di solo un chilo e mezzo per pianta, per una produzione massima
consentita di 10 quintali per ettaro. Se paragonati ai 70-120 quintali per ettaro prodotti in altre zone geografiche più favorevoli, ci si rende facilmente conto del motivo per il quale questo tipo di agricoltura sia stata definita “eroica”. Secondo il Disciplinare di produzione, la resa delle uve in vino non deve superare il 40%, per una produzione complessiva di 40 ettolitri per ettaro. Merita sicuramente di essere descritta la modalità di coltivazione dei vitigni che danno origine al Passito di Pantelleria. La superficie “vitata” dell’isola si estende su circa il 70% del territorio agrario, e le viti sono coltivate principalmente con il metodo “in conca”. Come si può desumere dal nome, questa metodologia consiste nella coltivazione delle viti in buche nel terreno, che hanno il duplice scopo di proteggerle dal vento e dalla salsedine, e di trattenere la scarsa umidità del terreno. La produttività limitata è indubbiamente compensata dalla sua qualità, che consente al vino ottenuto di avere caratteristiche del tutto eccezionali. In seguito alla raccolta, i grappoli migliori vengono selezionati e posti ad essiccare nel tradizionale stinnituri, un essiccatoio utilizzato anche per la produzione di pomodori e fichi secchi. L’essiccazione può anche essere condotta, tuttavia, lasciando i grappoli sulla pianta oltre il periodo di maturazione, sfruttando in questo caso l’azione del sole e del vento. Il Passito di Pantelleria viene, in tutto o in parte, prodotto con uve sottoposte a questi tipi di appassimento che, di solito, dura una ventina di giorni
fino a quando il peso dell’uva, per effetto del caldo e del vento, si riduce al 60% rispetto a quello iniziale. Quando le uve si trovano in queste condizioni, vengono pigiate e messe a riposare per alcuni mesi, solitamente in contenitori di acciaio inox. Il Passito di Pantelleria, per legge, non può essere immesso al consumo prima del 1° luglio dell’anno successivo alla raccolta delle uve. Questo vino può essere imbottigliato esclusivamente in contenitori di vetro, dotati di tappi di sughero, nelle capacità di 0.375, 0.500, 0.750 litri, 1 litro e un litro e mezzo.
Caratteristiche organolettiche e chimiche del Passito di Pantelleria
Risalta per il suo bel colore giallo dorato, che talvolta assume riflessi ambrati; in alcuni casi è addirittura di un intenso oro antico. Il profumo è fruttato ed aromatico, fragrante e caratteristico di moscato; ricorda in particolare i fichi secchi e la frutta matura. Il sapore è piacevolmente dolce, gradevole, caldo ed aromatico; sorseggiandolo, si possono intuire sentori di arancia candita,
dattero, miele, uva passa e mirto. Il titolo alcolometrico volumico minimo per il Passito di Pantelleria è di 20°, di cui almeno il 14% svolto. L’acidità totale minima è del 4 per mille, con un’acidità volatile massima di 1.6 grammi su litro ed un estratto secco netto minimo di 32 grammi su litro.
Modalità di servizio del Passito di Pantelleria e abbinamenti
Per essere apprezzato al meglio, il Passito va gustato freddo, alla temperatura di 10-12°C. Eccellente per accompagnare il fine pasto, ben si sposa a preparazioni secche come la piccola pasticceria ed i biscotti, in particolar modo quelli tipici della tradizione siciliana come, ad esempio, quelli a base di pasta di mandorle o pistacchi. Il Passito di Pantelleria è in genere un ottimo accostamento a torte e crostate, ma anche a dessert a base di cioccolato; generalmente, il
suo sapore dolce contrasta in modo intrigante con dolci contenenti confetture acidule come, ad esempio, ribes, frutti di bosco o marmellate di agrumi. Grazie alle sue caratteristiche, può essere anche adatto ad accompagnare sapori più forti come, ad esempio, nel caso dell’insolito accostamento con i formaggi erborinati o piccanti, o con il foie gras. Il Passito di Pantelleria è inoltre ottimo servito come aperitivo e, al pari di altri vini corposi e spiccatamente alcolici, può essere consumato da solo come un eccellente vino da meditazione.

venerdì 26 gennaio 2018

La Grande Dame - Veuve Clicquot Ponsardin - Champagne AOC



Nome: La Grande Dame
Cognome: Veuve Clicquot Ponsardin
Residenza: Reims, Francia
Lanciata nel 1972, in occasione del bicentenario della fondazione, la Cuvée de Prestige La Grande Dame è stato il primo millesimato degli Champagne Veuve Clicquot Ponsardin e ne incarna alla perfezione tutta la raffinatezza e l’eleganza. Viene creata assemblando uve dai soli vigneti Grand Cru, acquistati dalla stessa Barbe-Nicole Clicquot Ponsardin, sempre con maggioranza di Pinot Nero, così come richiede lo stile della Maison e con percentuali minori di Chardonnay e Pinot Meunier.
Età: affina almeno per 10 anni sui lieviti.
Segni particolari: la Grande Dame viene elaborata solo nelle annate eccezionali, come eccezionale è stata la donna a cui è dedicata, Barbe-Nicole. Prima delle due figlie di
Nicolas Ponsardin, il più ricco commerciante di Reims fatto barone da Napoleone nel 1813, Barbe-Nicole ne eredita le fattezze e il senso degli affari. A 22 anni sposa François Clicquot e nel 1799 nasce Clémentine. Il marito è quasi sempre assente, segue gli eserciti di Napoleone con carri di vino spumante, torbido e più dolce dello champagne attuale, per farlo conoscere nelle corti europee. Nel 1805 muore di febbre maligna, lasciando alla moglie l’azienda vinicola che all’epoca produce circa 100.000 bottiglie all’anno. La giovane veste a lutto, per sempre, e decide di dirigerla da sola contro ogni tradizione, assistita dal suocero e dall’amica Louise Bohne. Cambia il nome in Veuve Clicquot Ponsardin nel 1810, quando è pronto il primo millésime ottenuto sotto la sua gestione. Nel 1811, in occasione del passaggio della cometa, produce “Le Vin de la Comète” che tre anni dopo le serve a lanciare il proprio marchio in Russia, cosa che al marito non era riuscita. Nel 1814, prima ancora dell’abdicazione di Napoleone, noleggia una nave, aggira l’embargo decretato dalle potenze coalizzate, e rifornisce con diecimila bottiglie la corte di San Pietroburgo. In mezzo ai cambiamenti di regime e alla crisi economica dovuta alle sanzioni imposte alla Francia con il secondo trattato di Parigi recluta personalmente rappresentanti nelle capitali europee, sorveglia i trasporti fino ai porti d’imbarco per trattare con le truppe d’occupazione, fa alcuni miglioramenti diventa quella che oggi tutti conosciamo come pupitre , elemento chiave per avere uno champagne chiaro, non torbido. Tornata la monarchia, Barbe-Nicole comincia ad acquistare i migliori vigneti della regione per soddisfare la domanda crescente. Nel 1821
prende in stage il giovane Edouard Werlé, al quale nel 1841 lascia la direzione dell’azienda che ormai vende mezzo milione di bottiglie all’anno (alla morte di lei saranno 760.000). Ma non solo, è lei che incita le vedove Pommery e Perrier a gestire anch’esse le imprese ereditate dai rispettivi mariti.
Note de gustative: blend di Chardonnay e Pinot Nero, di color oro, all’olfatto si apre su nette sensazioni minerali e di agrumi seguite da note di pan brioche e vaniglia, burro, miele e frutta secca, spezie ed erbe aromatiche. Al palato è quasi cremoso, pieno e secco, per esaltare sfumature agrumate e toni fumé.
Abbinamenti: con il cibo Ostriche, crostacei, piatti con funghi porcini e tartufo e
formaggi semi-stagionati.
Temperatura di servizio: 8-10 °C.

lunedì 15 gennaio 2018

Che Cos'è il Vino: una bevanda che affonda le sue radici nella tradizione e nella cultura, semplice e immediata, oppure una bevanda che si vuole rendere a tutti i costi complicata e distante dalla gente?



La domanda può sembrare stupida, o forse lo
è davvero. Nonostante l'apparente semplicità, credo che la risposta non sia così semplice.
Non vi è alcun dubbio che il vino sia una bevanda, ma non una qualunque. Esso ha rivestito un ruolo importante nella società, sin dalla notte dei tempi. Pur essendo una bevanda semplice, popolare, indispensabile supporto alla vita rurale e immancabile elemento di convivialità in qualsiasi banchetto, il vino  però è oggi visto in maniera diversa.
Si parla di vino fra amici, nei giornali, in televisione, alla radio, nella pubblicità: il vino è ovunque. Non solo se ne parla, ma pare sia considerato come un argomento elitario, una passione coltivata unicamente da persone raffinate e altolocate.
Probabilmente di vino se n'è parlato anche a sproposito, spesso utilizzando linguaggi che hanno avuto come risultato quello di allontanare la gente dal vino piuttosto che avvicinarla. Alcuni termini ed espressioni hanno contribuito ha far passare l’idea (errata) che il vino sia qualcosa di complicato e incomprensibile. Termini spocchiosi, spesso ridicoli, hanno solamente confuso i consumatori, spesso facendoli ridere di gusto.
La ragione di così tanto interesse è certamente legata a fattori culturali e tradizionali, ma è innegabile che uno dei fattori responsabili di tanto interesse sia quello economico. È inutile negare che nel mondo del vino vi siano interessi economici colossali , che rubano la scena alla spontanea e autentica passione per la bevanda prediletta da Bacco. Esperti di ogni genere (o presunti tali) si affidano all'ostentazione di una “ingombrante” arroganza, che ha come unico risultato quello di allontanare la gente dal vino invece che di avvicinarla. Eppure il vino ha come qualità principale la semplicità, l'immediatezza che non ha nessuna pretesa se non quella di regalare un'emozione o di soddisfare una necessità, a seconda dei punti di vista e di ciò che si cerca in un vino. Lungi dal voler criticare la professionalità e l'importanza dei sommelier: quando svolto con discrezione, competenza e, soprattutto, savoir-faire, è certamente importante per la
diffusione e la conoscenza del vino. È innegabile però che comportamenti altezzosi non fanno altro che rendere distanti e incerti i consumatori che, al momento della scelta di un vino, nel timore di sbagliare o di fare la tanto temuta “brutta figura”, finiscono per evitarlo, indirizzandosi su altre bevande semplici e che non hanno bisogno di tante complicazioni.  
Che cos'è quindi il vino? Una bevanda che affonda le sue radici nella tradizione e nella cultura, semplice e immediata, oppure una bevanda che si vuole rendere a tutti i costi complicata e distante dalla gente? Il vino è certamente una bevanda complessa, ma nella sua complessità può anche essere estremamente semplice. Dipende da cosa si cerca in un calice di vino. Una cosa è certa: fino a quando si farà del vino una bevanda complessa, dal punto di vista culturale e informativo, la gente crederà di non essere all'altezza di comprenderlo e quindi terrà il vino a una certa distanza, come qualcosa che distingue chi lo apprezza - ma non chi ne abusa - senza mai avvicinarsi veramente. Questo non deve comunque significare che il vino deve essere svilito o banalizzato: l'effetto sarebbe ancora peggiore, aumentando - forse - l'abitudine di farne un consumo sconsiderato ed eccessivo. Ma anche fare del vino una bevanda elitaria, complicata per forza, non è la cosa migliore da fare. Il vino è un patrimonio culturale e tradizionale dei luoghi dove da sempre è presente nella vita della gente e, come tale, deve essere patrimonio di tutti, non di pochi o di quelli che lo vogliono per forza trasformare in qualcosa di diverso e che con il vino non ha nulla in comune. Le parole sono importanti, hanno la funzione primaria di rendere comprensibile a tutti un concetto, non di renderlo incomprensibile. Infatti, se qualcosa è incomprensibile diventa anche inutile. Può, eventualmente, fare finta di capirlo o di usarlo, ma certamente non è la stessa cosa e di certo questo non è utile alla diffusione della cultura enologica. Perché il vino è cultura, perché il vino è semplicemente vino.
                
                 Nicola Tamburrino

sabato 13 gennaio 2018

i grandi vini italiani - il Barolo il re dei vini o vino da re


Il Barolo è stato più volte definito il re dei vini: nobile e generoso, è
conosciuto in Italia e all'estero per la sua austerità, la ricchezza di sapori e di aromi. Prodotto a sud-ovest di Alba – nella cosiddetta Langa del Barolo – è un vino dalle caratteristiche uniche determinate dal
complesso profilo geologico della zona. Oggi quella del Barolo è la denominazione italiana di maggior pregio e i due castelli che hanno visto la sua nascita, quello dei Marchesi di Barolo e quello del Conte di Cavour, sono sedi di importanti enoteche. Il Barolo è un vino dalla storia

importante. Già nel Settecento aveva estimatori in tutta Europa e agli inizi dell'Ottocento cominciò a essere prodotto con le caratteristiche attuali. Fu Giulia Colbert Falletti, marchesa di Barolo, a dare un contributo
fondamentale alla produzione di Nebbiolo (le uve da cui nasce il Barolo) come vino secco, secondo le indicazioni del Conte Oudart. Spetta invece a Camillo Benso Conte di Cavour il merito di

aver fatto arrivare in zona il famoso enologo francese per "costruire" un vino secco, importante, "alla moda di Bordeaux". Il risultato trovò un immediato riscontro presso Casa Savoia e presso le corti di tutta Europa. Grazie alle caratteristiche organolettiche e alla sua grande
struttura, il Barolo si dimostrò subito vino adeguato all'invecchiamento e all'esportazione. Il suo successo europeo portò nel 1908 alla delimitazione della zona d'origine e, nel 1934, alla fondazione del “Consorzio di Tutela” insieme al Barbaresco. Risale poi al 1966 il riconoscimento della DOC e al 1980 quello della DOCG. Lo scrittore

Cesare Pavesene diceva: "Tre nasi sono quel che ci vuole per il Barolo".

L'area del Barolo–che comprende in tutto o in parte i territori di Barolo,

Castiglione Falletto, Serralunga d'Alba, Monforte d'Alba, Novello, La Morra, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d'Alba, Cherasco e Roddi–
vigneti sulle colline di Barolo

è caratterizzata da formazioni geologiche costituite da sedimenti marini depositatisi durante il Miocene (8-12 milioni di anni fa).A garanzia di qualità, la produzione di uva non deve superare gli 80 quintali per ettaro. Nel 2000 sono risultate impegnate nella produzione 720 aziende, per un totale di 1.300 ettari vitati. L'uva è quella prodotta dal vitigno Nebbiolo-

di cui sono autorizzate le sottovarietà Lampia, Michet e Rosè-e matura tardivamente verso la fine di ottobre. I grappoli sono di colore blu intenso e tendono al grigio per l'abbondante cera che riveste gli acini, la loro forma è allungata, piramidale, con acini piccoli, sferici e dalla buccia consistente. Il vitigno, vigoroso, ha la caratteristica di crescere rapidamente e necessita per questo di criteri particolari di potatura. Le foglie sono di media grandezza, tri-lobate o anche penta-lobate. La produzione è buona, anche se talvolta incostante in relazione alle annate e alle sottovarietà. La vinificazione avviene con una adeguata macerazione e – ultimato il processo di trasformazione – il vino necessita per legge di almeno tre anni di invecchiamento di cui due in botti di rovere o di castagno Piemonte. Il Barolo trova il giusto abbinamento con piatti come arrosti di carne rossa, brasati,cacciagione, selvaggina, cibi tartufati, formaggi a pasta dura e formaggi stagionati. Le ricette più note e tradizionali sono il “Brasato al Barolo”, il “Risotto al Barolo”, il “Manzo al Barolo”, l’”Anguilla Piemontese al Barolo” e lo “Stracotto al Barolo”.

Per gustarle – oltre alle numerosissime tavole piemontesi – la regione offre feste, manifestazioni, aste e sagre dedicate al nettare. Tra le tante valga come esempio la "Festa del Barolo" che proprio nel comune di Barolo ha luogo nel mese di settembre.




Le caratteristiche del Barolo:
Colore: rosso granata con riflessi aranciati

Profumo: intenso e complesso, con note evidenti di viola, goudron e vaniglia

Sapore: asciutto, pieno, robusto, austero ma vellutato, armonico persistente di grande stoffa

Gradazione: 13°

Temperatura di servizio: 18-20°
Acidità totale minima: 5 per mille.
Estratto secco netto minimo: gr. 23 litro.
Il vino deve essere sottoposto ad un periodo di invecchiamento di almeno tre anni e conservato per almeno due anni di detto periodo in botti di rovere o di castagno. Il periodo di invecchiamento viene calcolato a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo alla vendemmia.
Il "Barolo" sottoposto ad un periodo di invecchiamento non inferiore a cinque anni può portare come specificazione aggiuntiva la dizione "riserva".

Nicola Tamburrino 

venerdì 12 gennaio 2018

Il Cognac


Il Cognac è un'acquavite di vino AOC. Siamo intorno alla città di Cognac nella regione della Charente, un dipartimento 130 km a nord di Bordeaux suddiviso dal 1938 in 6 zone di produzione: 

GRAND CHAMPAGNE
PETIT CHAMPAGNE
BORDERIES
FINS BOIS
BONS BOIS
BOIS ORDINAIRES

L'uva alla base di questo distillato è l' ugni blanc (al 90%, sono però marginalmente utilizzate anche la folle blanche e la colombard), simile al trebbiano e prodotto appositamente per la distillazione.
La vinificazione in bianco dà vini di 8° alcolici i quali vengono distillati entro il 31 marzo successivo alla vendemmia. La distillazione è
discontinua, cioè svolta in 2 fasi con l'alambicco charentais: il vino viene preriscaldato e poi raffreddato ottenendo una prima separazione delle sostanze più volatili e pregiate. La vera e propria distillazione avviene dopo 12 ore utilizzando il "cuore" della 1ª distillazione (62% del totale) ed ottenendo un'acquavite chiara e aromatica con 65-72° alcolici.
Il passo successivo è la maturazione in legno che avviene esclusivamente in barrique di quercia di Limousin da 350 litri. Il distillato subisce una profonda trasformazione delle caratteristiche
organolettiche ma soprattutto una forte riduzione di volume (circa il 2,5% annuo): il liquido evaporato si chiama "part desanges", la parte degli angeli.
 La maturazione in legno (max 60 anni) è seguita
dal maitres de chai, il mastro di cantina, che provvede all'assemblaggio delle acqueviti di varie annate per ottenere un Cognac equilibrato così come lo conosciamo. Il mastro inoltre provvede ad un taglio dell'acquavite con acqua distillata per portare progressivamente la gradazione alcolica a circa 40°. Una particolare caratteristica dei luoghi dove le botti sono conservate, è data dal colore grigio scuro delle pareti e dei tetti provocato da un fungo microscopico chiamato "TorulaConiacensis".
In base al gusto personale del consumatore, il Cognac può essere consumato giovane oppure invecchiato oltre i 30, 40 o addirittura 50 anni. Superata la soglia dei 60 anni, se mantenuto nelle botti di legno, può perdere le
caratteristiche che lo rendono così particolarmente unico, per assumere un sapore amaro e sgradevole.
I Cognac stravecchi vengono infatti travasati in damigiane chiamate "bonbonnes" che verranno conservate in locali chiamati "Paradis".
Tra i nomi più importanti nella produzione del Cognac occupa un posto rilevante la maison Hennessy le cui origini in Francia risalgono al 1700, quando Richard Hennessy, capitano dellaBrigata irlandese agli ordini di Luigi XV, giunse a Cognac per motivi militari e, affascinato dalla bellezza del territorio, decise di stabilirvisi . Il suo interesse per il vino ed per il commercio rimanevano però di primaria importanza. I suoi discendenti, nei secoli successivi, non hanno

tradito le sue volontà. L'azienda gode attualmente di enorme successo grazie appunto alla dedizione e all'esperienza in questa attività che dura da lunghissimi anni. La Maison Hennessy ha inventato infatti l'XO già molto tempo prima del suo utilizzo come termine ufficiale. Tra le etichette più importanti della Maison Hennessy, oltre alla XO che sta ad indicare un assemblaggio di oltre cento diverse acqueviti delle migliori zone, con invecchiamento anche superiore a cento anni, troviamo la PARADIS, la RICHARD HENNESSY, la HENNESSY PRIVATE RESERVE 1873, nato per esclusivo uso privato dei componenti della famiglia o per amici ed ospiti importanti, risultato di uve coltivate esclusivamente nella Grande Champagne, viene oggi riproposto con la ricostruzione della stessa combinazione di acqueviti con le quali il prodotto venne creato nel 1873. Altri protagonisti del mondo del Cognac, sono Martell, Hine senza
assolutamente tralasciare i nomi locali di Remy Martin, Courvoisier, Otard.
In base all'età delle acqueviti che li compongono, i Cognac vengono classificati in diverse categorie:
"TroisEtoiles" (Tre Stelle), "VS" (VerySuperior)
- l'acquavite più giovane che concorre all'assemblaggio per la produzione di questo Cognac, dovrà avere almeno 30 mesi
"VSOP" (VerySuperiorOld Pale), "VO" (VeryOld), Réserve
- l'acquavite più giovane dovrà avere almeno 4 anni e mezzo
"Napoléon", "XO" (Extra Old"), "Grande Réserve"
- si tratta di Cognac di qualità eccelsa, dove l'invecchiamento ha agito profondamente sulle caratteristiche organolettiche, rendendone il gusto estremamente equilibrato.
L'acquavite più giovane che concorre all'assemblaggio dovrà avere almeno 6 anni e mezzo.L'assemblaggio di acqueviti, la cui provenienza per almeno del 50%, è dei territori della Grande Champagne e Petite Champagne, dà origine ad un distillato che viene definito Fine Champagne.La temperatura ideale per servire il Cognac è tra i 20° e i 22°. Il bicchiere a tulipano che si restringe verso il bordo sprigionando un infinità di profumi, è sicuramente quello più adatto per il consumo di questo prodotto.La sua

degustazione si accompagna molto bene con praline di cioccolato, anche se,
un abbinamento ideale può rivelarsi quello con i sigari...un'unione armonica per chi vuol concedersi una pausa per rilassarsi o meditare. 

domenica 7 gennaio 2018

Il Calvados


L'acquavite di sidro ottenuta da una particolare qualità di mele prodotta nella regione Francese della Normandia è fra i distillati più famosi del mondo
Nel lontano 1588 il Re di Spagna Filippo ordinò alla sua flotta di dirigersi verso le coste Inglesi. Una delle navi, la “El Salvador”, accidentalmente
naufragò nelle coste Francesi. Non si conosce il motivo, forse per i marinai, o forse per il contenuto della stiva, ma, la leggenda narra che da quel momento il luogo del naufragio e tutta la regione circostante fu chiamata Calvados. Ma questa è solo una leggenda.
Cenni Storici
 Da tempo immemorabile gli alberi di mele prosperano nella regione a nord della Francia chiamata Normandia. I documenti lasciati dalle popolazioni indigene, i Celti e i Romani, ci raccontano di una regione dove gli alberi di mele hanno prosperato sia come albero selvatico, avendo trovato un clima ed un territorio ideale per il suo naturale sviluppo, sia come albero sacro. Dal XIII secolo lentamente i grandi alberi secolari diffusi in tutta la regione cominciarono ad essere sostituiti con altre varietà: le mele da sidro (pommes à cidre). Le varietà indigene furono sostituite da
varietà chiamate “Bisquet” e “Marin Onfroy”, senza dubbio adatte a fornire i frutti idonei alla produzione del sidro.
 La regione comincia a modificarsi nel suo aspetto naturalistico. Nei tradizionali paesaggi Normanni, dove le mucche pascolano nei prati e tra gli alti fusti degli alberi di mele, si arriva ad una progressiva presenza di prati curati con estrema attenzione poiché devono essere molto soffici per attenuare la caduta delle mele. Gli alti fusti degli alberi vengono sostituiti da frutteti specializzati con alberi a basso fusto. Certamente il paesaggio e l'atmosfera antica sono scomparsi, ma non tutto è perduto. In primavera il paesaggio è coperto da migliaia e migliaia di alberi in fiore, e in autunno, quando i frutti sono maturi, i profumi permeano l'aria. Probabilmente le stagioni migliori per
visitare la Normandia sono proprio l'autunno e la primavera.
 La produzione del sidro, un tempo detto Sydre e poi Cidre, comincia a svilupparsi fino ad assumere una rilevanza notevole in tutta la regione della Normandia e per poi estendersi in tutta la Francia. L'origine del Calvados è senz'altro ambigua. Curiosando negli antichi documenti troviamo la prima notizia sulla distillazione del sidro: 28 marzo 1553. La notizia si trova nel diario di Messer De Gouberville, membro della nobiltà e grande gastronomo, che visse a Mesnil Au Val, nella penisola di Cotentin sulla Manica, il quale, pur citando la distillazione del sidro, non fa cenno se era una pratica corrente oppure una tecnica appena nata.
 Qualche anno più tardi, nel 1600, fu creata la “Corporazione dei distillatori di acquavite di Sidro”. Il nome del distillato deriva dalla zona in cui si produce. La regione della Normandia chiamata “Calvados” sembra prendere il nome dalla leggenda del naufragio della nave “El Salvador” già citata. All'inizio la diffusione del distillato era circoscritta alla zona di produzione ma dopo la liberalizzazione del commercio, avvenuta verso la fine del
1700, l'acquavite del Calvados comincio a diffondersi, fino ad arrivare alla capitale Parigi, dove con il passare del tempo muta sia il proprio nome in “Calvados”, sia il proprio destino, diventando un distillato fra i più famosi ed apprezzati.
 Nel 1942 il Calvados diventa AOC (Appellation d'Origine Contrôlée, Denominazione di Origine Controllata), in seguito nel 1963 la normativa fu rivista e furono stabiliti in senso rigoroso sia la zona, sia i metodi di produzione e perfino la tipologia degli alambicchi. Inoltre si fissarono alcune norme relative al prodotto finito: prima della commercializzazione il Calvados deve ricevere l'autorizzazione dalla Commission de Dégustation de l'Institut National des Apellation d'Origine (INAO), la quale verifica che siano soddisfatti tutti i criteri richiesti dalla legge.
La Produzione del Calvados
 Tutto inizia dalle mele da sidro e non immaginate delle mele dolci e succulente. Le mele da sidro non sono adatte al consumo, la loro origine botanica è diversa da quella delle mele da tavola. Esistono centinaia di varietà di mele da sidro, ciascuna con le sue caratteristiche, tuttavia le varietà legalmente consentite per la produzione del sidro sono quarantotto. Fondamentalmente le mele vengono classificate in quattro gruppi: quelle dolci, quelle amare,
quelle dolci/amare e quelle acidule. Per ottenere un sidro di buona qualità bisogna saper utilizzare varietà diverse in modo da ottenere un risultato armonioso. Talvolta si ricorre anche all'utilizzo delle pere in modo da accrescere o raggiungere l'acidità desiderata.
 In termini generali l'assemblaggio ideale è il seguente: 40% di mele dolci, 40% di mele amare e 20% di mele agre o acide. La preparazione del sidro avviene selezionando accuratamente le mele, quindi si procede con l'estrazione del succo che consiste praticamente nel lavare e pressare i frutti. Il succo, che secondo regolamento deve provenire esclusivamente da frutti freschi, viene fatto fermentare per circa tre mesi, il tempo necessario per sviluppare i necessari aromi, quindi diventa sidro da distillazione. Questa fase, come tutte le altre, è molto importante: non si può ottenere un buon Calvados se non si parte da una base di prima qualità.
 Il sidro ottenuto deve rispondere a caratteristiche ben precise:
deve avere almeno il 4,5% di alcol, l'aggiunta di zucchero è severamente vietata e l'acidità volatile deve essere inferiore a 2,5 g/litro. Questi requisiti sono validi per tutti i tipi di Calvados. Esistono due tipi di Calvados: ilCalvados AOC e il Calvados AOC du Pays d'Auge. Il “Calvados AOC du Pays d'Auge” deve provenire da mele coltivate nell'area denominata appunto “Pays d'Auge” (figura ), i frutti vengono lavorati sempre all'interno di quest'area ristretta, infine il sidro subisce una doppia distillazione in un alambicco di fattura simile a quello usato per distillare il Cognac.

 Per quanto riguarda invece il “Calvados AOC”, le mele devono provenire dall'area del Calvados esterna a “Pays d'Auge”, e la

distillazione può avvenire in un alambicco a distillazione semplice, detto anche alambicco a colonna. Come per il “Calvados AOC du Pays d'Auge”, prodotto nella sua zona tipica, anche il resto dell'area di Calvados AOC ha le sue nicchie e le sue peculiarità. Ogni zona presenta delle varietà di piante diverse, la presenza di pere da sidro in misura diversa e delle caratteristiche ambientali diverse. Questo, come nei vini e negli altri distillati, genera una serie di prodotti diversi tra loro pur seguendo le stesse regole imposte dal disciplinare di appartenenza.
 La distillazione del sidro per il “Calvados AOC du Pays d'Auge” viene eseguita due volte in un alambicco simile a quello utilizzato per il Cognac. La prima fase di distillazione viene chiamata première chauffe, dalla quale, eliminando la testa e la
coda, si ottiene la acquette o il brouillis. La seconda distillazione, denominata bonne chauffe, utilizza il prodotto della prima, e dopo avere eliminato anche in questo caso la testa e la coda, si ottiene il brandy chiamato Calvados, che per essere considerato tale deve avere una gradazione alcolica inferiore a 72°.
 L'alambicco utilizzato per il “Calvados AOC du Pays d'Auge” è formato da 6 elementi. Il focolare è il generatore di calore alimentato a gas oppure a legna. La caldaia, rigorosamente di rame, è il contenitore del sidro da distillare. Il capitello si trova sopra la caldaia e ha la funzione di lasciar passare solo i vapori più leggeri e di evitare che la schiuma entri nel circolo di raffreddamento. Nello scalda sidro i vapori appena usciti dalla caldaia, e prima di entrare nel raffreddatore, passano per un contenitore che pre riscalda il sidro per la successiva distillazione con lo scopo di rendere il
sistema più efficiente. Il sidro in attesa, conservato in questo contenitore, è scaldato ad una temperatura che equivale a 5 ore di riscaldamento effettuato nella caldaia. Il refrigeratore, raffreddando il vapore, permette di raccogliere il distillato in un recipiente finale.
 Il “Calvados AOC” viene distillato in un alambicco a colonna e solo per una volta. L'alambicco a colonna è costituito da tre elementi: la caldaia, la colonna di esaurimento e la colonna di concentrazione. La caldaia è il contenitore dove viene portato ad ebollizione il sidro e da cui passa alla parte superiore della prima colonna. La colonna di esaurimento, o prima colonna, riceve il sidro nella parte superiore e lo lascia scorrere verso il basso, lungo i suoi piani interni, lentamente e in modo da fargli rilasciare tutti gli aromi. I vapori vengono poi diretti alla colonna di concentrazione dove vengono scartate la testa e la coda del distillato, vengono quindi raffreddati producendo un'acquavite con grado alcolico massimo di 72°. Qui termina la prima fase della produzione del Calvados. Esattamente come per altri brandy, la fase dell'invecchiamento completa, perfeziona, rifinisce e arricchisce quanto di meglio ha saputo dare il distillatore.
L'Invecchiamento
 Per invecchiare il Calvados vengono utilizzate botti di quercia Normanna, costruite con legno molto secco. La botte, quando accoglie il distillato giovane, comincia a cedere i propri tannini conferendo aroma, colore, rotondità al distillato. Il colore dorato del distillato giovane sviluppa lentamente verso il dorato o l'ambrato sempre più intenso, perdendo l'aggressività che contraddistingue un distillato giovane senza però cedere tutta la propria forza. Inoltre la porosità del legno lascia evaporare una piccola parte, piccola ma certamente non insignificante. Un altro aspetto da considerare durante la fase dell'invecchiamento è il ruolo svolto dall'aria, o più precisamente dall'ossigeno. L'effetto ossidante dell'aria delle cantine, un'aria con la giusta temperatura e umidità, contribuisce sostanzialmente all'evoluzione fisico-chimica del Calvados, conferendo aromi sempre più complessi. Durante la fase d'invecchiamento la percentuale d'alcol passa dal 70% circa al 40-45% circa.
 Ogni cantina ha i suoi mastri cantinieri che con la loro sapienza e la loro esperienza, cercano di condurre questo processo il più possibile verso il prodotto che intendono creare. Molte sono le variabili ed infinite le combinazioni possibili: distillato, legno, aria, temperatura, umidità e tempo. Tutte queste variabili vanno dosate, controllate, verificate e corrette. Invecchiare non significa abbandonare il distillato in cantina. Al termine dell'invecchiamento si passa all'ultima fase che precede l'imbottigliamento: l'assemblaggio. Come un chimico, un alchimista d'altri tempi, il mastro cantiniere procede all'assemblaggio di diverse tipologie di Calvados. I distillati provenienti da zone e annate diverse, vengono miscelati per creare il prodotto finale destinato al consumatore.
 Ci sono vari tipi di Calvados, tuttavia questi si distinguono in due tipologie: i millesimati e gli assemblati. Per millesimato si intende un Calvados prodotto da una sola e medesima distillazione. Nei Calvados assemblati, prodotti con diversi brandy, l'età indicata in etichetta rappresenta l'età del distillato più giovane. Per esempio, in un Calvados di 30 anni il distillato più giovane dell'assemblaggio è un'acquavite di 30 anni, tuttavia può contenere anche acquaviti più vecchie. Di seguito sono riportate le varie denominazioni che tipiche nelle etichette di Calvados:

  • Trois Etoiles - (tre stelle) - (oppure Trois Pommes, tre mele) indicano un invecchiamento minimo di due anni in fusti di legno
  • Vieux - (Vecchio) - (oppure Réserve, Riserva) indicano un
     invecchiamento minimo di tre anni in fusti di legno
  • Vieille Réserve - (Vecchia Riserva) - (oppure V.O.) indicano


     un'acquavite con un invecchiamento minimo di quattro anni in fusti di legno
  • VSOP - indica un Calvados con un minimo di cinque anni di

    invecchiamento in fusti di legno
  • Extra, XO, Napoléon, Hors d'Age (fuori età), Age inconnu (età

    ignota) - sei anni e oltre di invecchiamento

 A volte nelle etichette è indicato l'anno di imbottigliamento: è un'informazione importante in quanto qualunque distillato, dopo l'imbottigliamento, termina la sua evoluzione. Generalmente i Calvados giovani vengono utilizzati per la preparazione di cocktail e long drink, mentre quelli invecchiati sono solitamente consumati da soli e in meditazione, oppure a fine pasto. Il Calvados è ottimo come digestivo, i Francesi amano sorseggiarlo anche durante i pasti, nella breve attesa tra una portata e l'altra. Il bicchiere più adatto per la degustazione del Calvados è quello classico da Cognac.

Angel Face
Cocktail con il Calvados
Vi sono alcune grandi ricette eseguibili con il Calvados. Magari nella miscelazione suggerisco di usare un Calvados normale e riservare per la degustazione naturale quelli dei Pays d’Auge, a meno che non si voglia fare un “luxury coktail”. L’Angel face forse è il cocktail più importante a base di Calvados, essendo di recente rientrato nell’olimpo dei cocktail targati Iba (International bartenders’ association).

Angel face
3 cl di Gin

3 cl di Apricot Brandy
3 cl di Calvados
Shakerare gli ingredienti e versare in una coppa a ben fredda.


Deux coeur (due cuori)

3 cl Calvados Dupont
1,5 cl Liquore alla mela verde
1,5 cl succo di limetta verde
1,5 cl infuso di bucce di mela verde aromatizzato alla vaniglia
Shakerare il tutto e servire in una coppa a champagne vintage style ben fredda. Guarnito con un cuore di mela.

Doux cidre

5 cl Calvados
2 cl Cinzano bianco
2 cl zucchero al miele
Shakerato e servito in coppa a cocktail ben fredda.

Prince
4 cl Calvados
2 cl Crema di cacao scura
Preparato direttamente nel bicchiere con abbondante ghiaccio. Lemon twist o spirale.

Kos
Long drink.
4 cl Calvados
2 cl Succo di limone fresco
2 cl Sciroppo di zucchero
6 cl Infusione di tè fragola e mango
Decorato con fiore di mela, mango e fragola. Preparato nello shaker e servito con ghiaccio in tumbler alto.




10 Domande per Sommelier 07/02/2020

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